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Nel corso della mia lunga esperienza professionale mi è capitato spesso di occuparmi di persone affette da disturbi d’ansia o da depressione, che erano giunte alla mia attenzione in quanto convinte di avere un problema neurologico. Al contrario, molti colleghi psichiatri spesso si son trovati o si trovano, per la verità un po’ meno rispetto ai neurologi, ad affrontare situazioni in cui il disturbo apparentemente di loro competenza è invece una manifestazione iniziale di una problematica neurologica. L’esempio più frequente è la depressione che precede anche di decenni la malattia di Parkinson o, invece, un disturbo comportamentale di recente insorgenza causato da malattie neurodegenerative come alcune forme di demenza. Ci sono poi situazioni in cui i due specialisti collaborano per districarsi in problematiche complicate come il disturbo somatoforme o meglio disturbo da sintomi somatici, come riportato nel DSM V, in altri termini ad affrontare l’ipocondriaco, che è presente in tutti noi e in tutte le latitudini.
Il disturbo psichiatrico che il neurologo deve affrontare più frequentemente è quello relativo dell’ansia e alle problematiche ansia correlate.
L’ansia è, secondo la definizione dell’APA, American Psychological Association, un’emozione caratterizzata da sentimenti di preoccupazione, stato di tensione e cambiamenti fisici, che si verifica in presenza di situazioni interpretate come potenzialmente pericolose ed è una risposta del tutto fisiologica che prepara il nostro corpo ad affrontare il potenziale pericolo. Diventa patologica nel momento in cui lo stato di tensione muscolare e di elevata attenzione si attivano in assenza di un reale pericolo.
Il DSM V, Diagnostic Statistic and Manual of Mental Disorders, una specie di “bibbia” per gli psichiatri di tutto il mondo, individua nell’ultima versione, diversi disturbi d’ansia, tra cui il Disturbo d’Ansia Generalizzato, l’Attacco di Panico e il Disturbo da Attacco di Panico, il disturbo da Ansia Sociale e il Disturbo d’Ansia secondario ad altre condizioni mediche. A questi andrebbero aggiunti, anche se non più considerati strettamente come tali, il Disturbo Ossessivo Compulsivo e il Disturbo da Stress Post-Traumatico.
In generale questi disturbi si manifestano con sintomi neurologici, come le vertigini, il tremore, i formicolii, il mal di testa, l’insonnia, i crampi e le contrazioni muscolari, clonie e spasmi, l’astenia muscolare, di cui bisogna escludere una causa organica.
In genere la diagnosi clinica è agevole, anche se sono necessari, soprattutto su richiesta insistente del paziente, alcuni esami che spesso si traducono in una richiesta di Risonanza Magnetica Encefalica che, tutto sommato, in presenza di dubbio clinico, in teoria dovrebbe escludere patologie neurologiche di natura organica di tipo infiammatorio, demielinizzante, degenerativo, neoplastico o malformativo. Purtroppo, ciò è vero solo in poche eccezioni in quanto questi esami ha un alto potere di risoluzione e spesso si vedono cose del tutto occasionali e aspecifiche che il radiologo descrive e che nella maggior parte dei casi allerta il paziente. Quindi si parte da una situazione di tensione partenza che viene poi alimentata dai risultati degli esami a cui si risponde con richieste di altri esami e visite, dove, per definizione, spesso non c’è una conclusione definitiva e si entra in un limbo di paure e preoccupazioni. A complicar le cose, inoltre, la consultazione di siti internet inaffidabili o di autodiagnosi spesso errate.
Molti di questi disturbi riconosce una carenza di alcuni neurotrasmettitori, spesso su base genetica, e tra questi in particolare la serotonina e a seguire la noradrenalina e la dopamina. La cura pertanto si avvale di farmaci che vanno a supplire la carenza di queste sostanze, spesso in combinazione la psicoterapia, con miglioramento del disturbo nella maggior parte dei casi. Tuttavia, circa il 20-30%, a seconda delle varie casistiche, come nel caso del disturbo da attacco di panico e forse un po’ di più per il Disturbo Ossessivo Compulsivo e per quello da Stress Post-Traumatico, è necessario ricorrere ad altre strategie, quali la Terapia Cognitivo-Comportamentale, approccio molto valido, che ogni giorno riceve continue segnalazioni di efficacia, le tecniche di rilassamento, tra cui il Biofeedback e il Neurofeedback, di cui si è parlato in un altro articolo, sempre su questo sito, e l’EMDR, Eye Movement Desensitization and Reprocessing, molto specifico per il trattamento del disturbo da stress post-traumatico, anche se le evidenze scientifiche a suo favore sono ancora molto deboli.
Dr. Giuseppe D’Alessandro – Neurologo – Neurofisiologo – Titolare Neurocenter VdA